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"Confessioni - Luca Forno incontra Sant' Agostino" # 10

"Confessioni - Luca Forno incontra Sant' Agostino" # 10

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"Confessioni - Luca Forno incontra Sant' Agostino" # 10

mostra personale al Museo di Sant'Agostino di Genova
dal 21.03 al 18.04

info mostra alla fotografia # 1
prefazione del catalogo di Marco Riolfo alla fotografia # 3
"bellezza vs. splendore" alla fotografia # 2

testo critico " le sculture del Museo di Ssant'Agostino alla luce delle fotografie di Luca Forno" di Leo Lecci alla fotografia # 6



"Le confessioni sulla variabile umana" di Glauco tiengo

Luci e ombre costruiscono uno spazio della contrarietà con una capacità di accoglienza che definisce un senso dell’essere-altro tutto particolare; quello dell’estraneo che insinuandosi in un tempo non suo è destinato a sorprenderci, a stupire. Pieghe, spazi interdetti, fisionomie di assenza e confessioni invisibili: questo ci appare il percorso sottile offerto da Luca Forno, nelle cui opere (nei volti s-velati, nelle aristocratiche posture, nell’intercalare silente) dà voce a quei santi che solo ad alcuni appaiono per il tempo di una rivelazione; santi che ascoltano le richieste di tutti ma che sanno parlare solo per enigmi comprensibili ai deboli, agli umili e ai piccoli.
Così, con un concetto forte potremmo iniziare a dire delle forme incastonate negli intersizi della nostra reale magmaticità ontica (la visione del mondo tra presente possibile e il presente che il tempo si prende) che Luca Forno –straordinario visionario, come ebbi a dire in altra sede– ci presenta; o meglio ancora: ci aiuta a ricordare.
Luci, ombre o, più precisamente: riduzione delle prime con l’ausilio delle seconde e trasfigurazione delle seconde nelle prime a totale dispiegamento della tragicità essenziale dell’uomo, trasformata in originaria rimembranza e accoglienza del nuovo. Quel nuovo che risiede dietro l’inspiegabile, ciò che passa rasentando i margini per rivelarsi inosservato (ma che sa ben ‘vedere’, per via della giusta distanza, il centro apparentemente dominante), quel che coglie il cuore dell’essenza tra la luce imprescindibile e l’abisso impermeabile. Il nuovo da ac-cogliere come un’ospite (secondo un valore che è misura dell’amore uguale all’amare senza misura, diremmo parafrasando Sant’Agostino) ossia come quell’ “Io è un altro” di rembaudiana quanto antica memoria.
E quale nuovo –in questo senso appena accennato– più rappresentativo vi può essere in noi (se seguiamo la vocazione dell’alterità) del di-venire “persona”? Dell’essere Somiglianza di ciò che di per sé È senza limiti, ombre o riflessi di luce bionda (il colore del sole); dell’esser-ci come l’Essere ontologico per eccellenza?
Cosa di più inclusivo dell’esistere secondo la vocazione dell’ospitalità, con la prerogativa essenziale –per l’uomo– di essere enigma esistenziale come mistero a Dio? “L’esistenza –infatti– si mantiene, per essenza, sul limite, indecidibile della propria decisione di esistere” (Nancy) dunque l’esistenza è –paradossalmente– una decisione presa: non dubbio esercitabile bensì esserci sul limite di quella fragilità (sull’orlo di una eternale lacerazione tragica) che ci obbliga ad esistere sino alle midolla delle ossa (Lèvinas). Ecco come l’uomo è un enigma proprio a partire da questo esistere, da quella fragilità dell’essente che, a sua volta, inizia dallo spazio (tra la luce e le ombre mostrate da Luca) dell’indecidibile: di quell’assurdo che apre una seconda dimensione del pensiero “al di là della ragione”, direbbe Kierkegaard.
Del resto l’esistenza rappresenta “l’esperienza incarnata della contraddizione” (Florenskij) se conduce l’uomo ad un appello di responsabilità e alla cura sia di sé sia dell’altro. “Vivere è dar vita all’assurdo” diceva Camus, dunque esistere è la contraddizione dell’indecidibile nella propria decisione dell’esserci, ossia il crearsi di quell’eventualità possibile (evenemenziale, aponderabile) dell’affermar se stessi. L’essere continuamente –in sintesi– tra realtà, esistenza e futuro ontologico.
Così dicendo (e così ammirando le immagini che qui si rivelano agli occhi nostri) comprendiamo come la persona dice una vocazione nel suo stesso divenire, dunque propriamente esiste a cominciare dagli atti che la creano. Infatti, divenire l’esistenza di ciò che si compie e dire il proprio esistere attraverso la contraddizione della propria decisione di essere nella concretezza della natura, dà corpo e sostenibilità a quell’idea di “enigma” che l’uomo rappresenta a prescindere dalla propria specifica identità. In questo senso ‘vocazione’ e ‘divenire’ sono “l’atmosfera costante in cui è immersa tutta la nostra esistenza” (Frank) e il nostro esser(ci) al mondo, si compie nell’esistere sino alle midolla delle ossa come persona.
Ecco cosa s-velano le ri-velazioni di Luca, cosa raccontano (facendoci rimembrare) le sue straordinarie trasfigurazioni del mondo: l’essere relazione dell’essere uomo nella sua più originaria ontologicità; confessione innocente e profonda della variabile umana continuamente in atto. Pure suggestioni visive che in bianco e nero dimostrano come l’uomo debba sapersi-fare (il suo in-divenire) relazione: di se stesso in se stesso e di se stesso in comunione con gli altri, certo. Un essere, dunque, che è in-divenire in-relazione con se stesso, con Dio e con il mondo secondo la proiezione del “tu innato” di buberiano intendimento. L’uomo, infatti, non è un essere esistente nell’isolamento ma nella pienezza della relazione tra l’uno e l’altro, poiché è tra l’Io e il Lui che si colloca propriamente il Tu; il modo più prossimo per mantenersi su quell’iniziale margine indecibile della decisione di esistere già presa, dicendosi come vocazione.
Questa è l’angolazione ontologica secondo la quale la persona è il centro che interagisce con ciò che è estraneo ad essa, uscendo dal sé per indirizzarsi all’altro che anche sostanzialmente è fuori-da-me. Ne nasce un’azione definibile alla sua origine come volontà e –così pensando, così vivendo– la persona non è più una totalità compatta, chiusa in sé, ma forma una totalità con l’oggetto al quale si indirizza, cosicché l’attività includa in sé il suo principio, la volontà di partenza (propriamente l’Io), e il suo fine, la volontà che recepisce (propriamente il Tu). Su questa interezza si basa l’essere persona e l’esistere come persona, non secondo un’unità solitaria, individuata, scomposta e in assenza di dialogo ma –proprio all’esatto contrario– come confessabile incastro di equilibri silenti tra apparente assenza di esplosiva presenza (il buio, l’ombra) e l’imperfettibile sintesi di tutti i colori nominabili (la luce, lo splendore). Come già –lo accennavamo prima– ebbi modo di dimostrare in altra sede, il bianco e il nero non si fronteggiano nei predestinati ricordi di Luca Forno ma si compenetrano indissolubilmente dando origine (come è il caso delle sue intense figure qui presentateci) alla pro-posizione della vista ed alla dis-posizione delle leggi del cuore; un percorso posto in dote dalla originalità dell’autore.
Un rincorrersi di spazi chiari e meno chiari, di ciò che è stabile dall’immemore istante ma pure fuggevole come il vento che ogni ricordo di felicità cancella, tempo della decisione sempre potenzialmente in atto. Non l’assenso o la sua negazione quanto piuttosto quel che vediamo e ciò che rimane in-visto: non luce e sottrazione di luminosità quanto piuttosto ciò che possiamo esperire contro quel che ci è promesso conoscere. Sospendersi tra luce ed ombra, del resto, non è mai facile, proprio perché significa dirsi capaci d’esser spogliati di sé e portatori di un dono di volontà, di accoglienza nei riguardi di quell’Altro che altro non siamo se non noi stessi. Quel che si sospende poi (esattamente come le foto di Luca, che trascendono ciò che narrano per le atmosfere che sanno ‘creare’) è essenza ed assenza, primo tempo nel divenire ed ultimo nel divenuto, pienezza della realtà esperita e vuotezza dell’attesa di ciò che non si conosce: ontologicamente uno e l’insieme, tutto e nulla.
Come sappiamo, le opere di Luca Forno sorprendono poiché sono eternamente evocative, descrivono voci che si affacciano all’identità della nostra coscienza, raccontano la fisionomia di uno sguardo che dona la forma, l’idea che si fa carne e colore nell’istantanea del mondo (re-inventato ad ogni scatto) pur restando, rigorosamente, luce ed ombra, bianco e nero: qui, addirittura all’opposto che altrove (in altre mostre, in altri itinerari) la luce sa inseguire l’ombra e quest’ultima finisce per chiedere indulgenza alla seconda.
Secondo alcuni (Jussine) l’esteriorità si constata mentre l’alterità si costruisce ed è proprio attraverso questo sentiero errante –ancora integralmente da edificare nella sua implicazione e “complicazione” teoretica– che il lavoro di Luca (fotografo del racconto sospeso, del detto già completato ma che ancor può essere infinitamente costruito) ci guida in quello spazio dove luce e ombra –lo scuro e il chiaro mai opposti ma coniugati– confessano all’indole dell’uomo il loro fragore di segreta accoglienza; il mistero sommerso dell’esistere come variabile umana.
Tra il lampo di certezza, la stabilità della luce e l’affascinante misterioso sorridere dell’intrigante buio.
Tra Terra e Cielo.
Sempre.


Glauco Tiengo

Commentaire 1

  • vog2 21/02/2015 16:47

    allego sopra uno dei due testi critici che accompagnano le fotografie.
    l'Autore è Glauco Tiengo di cui riporto una brevissima biogafia che certo non è esaustiva della sua attività.

    Filosofo e docente universitario, È direttore della collana filosofica "Synesis" della casa editrice francese L'Harmattan, nonché curatore ed autore per la Bompiani. È specialista del pensiero filosofico-religioso ed esistenzialista russo del Novecento, i. Dirige il Centro Studi sul Pensiero Religioso Cristiano e dell'Osservatorio Permanente sul Dialogo Interreligioso.

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