Il Tibet Ritrovato
http://goo.gl/maps/6Hj7F
Quando il taxi entrò a Lhasa, capitale del Tibet, ebbi la netta sensazione di essere arrivato troppo tardi.
Quella terra e il suo popolo, le cui incerte origini vengono fatte risalire a un principe sceso dal cielo con una corda, sembravano esistere ormai solo nella mia mente.
La Cina aveva rubato tutto il resto con le sue grandi opere di civilizzazione: strade a 4 corsie, semafori, case prefabbricate. Nel posteggio del palazzo del Potala, decine di autobus dai quali scendevano gruppi di cinesi in vacanza, vestiti all’occidentale.
T-shirt e Nike, nei miei primi scatti, si amalgamavano ai pochi costumi tradizionali in un insieme indistinto.
Intorno bandiere rosse, ideogrammi giganti e bancarelle disposte a vendere anche l’ispirazione cosmica.
Nel tentativo di ritrovare quei volti che popolavano il mio immaginario, quelle facce rugose segnate dal tempo che noi cerchiamo di cancellare a colpi di bisturi, quelle donne e quei bambini antichi e senza paura, m’incamminai verso Zhigatse.
Fu nei piccoli centri lontani dalle città che ritrovai quegli occhi curiosi e fieri, nei monasteri di Samye, di Sakya e di Chimpu dove all’alba senti che ti manca l’aria, il respiro; nei tragitti in canoa sul fiume Zangbo Jiang, quando ti sembra di poter toccare le nuvole con un dito, o stipato sul retro di un camion per arrivare al lago Yamzho Yumco, la cui vista riesce a cancellare ogni traccia di stanchezza.
Attraverso queste foto di luci, di cieli, di nuvole e di sguardi, ho cercato di far riemergere la fierezza e la dignità di un popolo la cui unica certezza di sopravvivenza pare essersi purtroppo rifugiata nel passato.
Qualcuno disse che “la vera grandezza consiste nell’essere grandi nelle piccole cose” ed è questa la straordinaria forza di queste genti che nelle espressioni e nei gesti quotidiani rivelano tutta la magia e il mistero di un Himalaya arcaico, lontano mille mondi dai rutilanti Truman Show cinesi.
Così, con la speranza di essere riuscito a cogliere anche solo una piccola tegola del “tetto del mondo”, quando arrivai a Kathmandu, al tempio Pashupatinath sul fiume Bagmati, tra i fumi sprigionati dalle pire dei cadaveri, una sensazione di infinito e di pace interiore riempiva la fine del mio viaggio.
Scattata con pellicola Polaroid 55 (stampata dal suo negativo Kodak SO-139)
Bombaretti 16/07/2015 13:21
Vedo solo ora questa immagine e mi dico "meno male che l'ho vista" ... bellissima e grande racconto ... grazieCiao Paolo
homer1964 18/01/2015 13:04
Top!lucy franco 10/01/2015 10:50
nota a margine e foto interessantissime, grazie!