Progetto "Foto&Racconti": Solovki (Rho-Torrisi)
Solovki
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Fotografia di Francesco Torrisi
Racconto di
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Non sapeva da quanto era lì. Dovevano essere solo due inverni. Perché il tempo alle Solovki si misurava non in minuti ore giorni mesi ma inverni. Sopravvivere all'inverno dava la misura del tempo. Si moriva soprattutto in inverno, di fame, di freddo, e perché non valeva più la pena di essere vivi. Contava solo la forza della giovinezza o della volontà. Ci si rattrappiva dentro di sé, il corpo diventava un bozzolo un rifugio un contenitore che si andava assottigliando, fino a sparire. Si aspettava.
Solo due inverni, perché le mani sembravano ancora forti, le guance avevano ancora una qualche rotondità. Era arrivata la primavera, il monastero-gulag sembrava prendere colore, la pietra qualche volta, al tramonto, sembrava rosa. Era il tempo di organizzare la sopravvivenza per il prossimo inverno. Era il tempo di intrappolare uccelli e mangiarli, spennati e crudi. Catturare le lucertole, schiacciarle e ingoiarle. Proteine. Per l'inverno. Per sé. Non c’era solidarietà nel gulag, non c’era l'altro. Avendo la vita poco valore contava solo la propria. Non c'era orrore che oramai andasse oltre la barriera degli occhi. I prigionieri picchiati massacrati torturati erano senza nome, viso, identità. Una massa che si muoveva nella foresta come un unico immenso automa, a tagliare alberi e trasportare tronchi, costruire inutili strade. Soccombevano agli stenti, venivano sterminati senza preavviso o motivo, e scomparivano, gli altri. Non erano nessuno, gli altri. Verso l'autunno non scomparivano neppure. Faceva già troppo freddo perché i cadaveri puzzassero. Bastava una nevicata e non c'erano più. Non c'erano mai stati. Il fango della primavera se li sarebbe inghiottiti un'altra volta.
Si appoggiò al filo spinato. C'era un pallido sole. Nella foresta c'erano canti di uccelli e il mare sembrava offrire vapori di tiepida umidità. Poteva farcela ancora un altro inverno.
Non sentì neppure il colpo di fucile. Cadde in avanti. La mano si straziò strisciando sul filo spinato, la gola si agganciò alla fila di sotto. Il suo sguardo colse un fiore che spuntava dalla terra ancora dura, e si fissò lì. Il suo tempo era finito.
Angelo Berlendis 26/07/2011 11:25
mi ricorda un racconto di Solzenicyn. Grandiosa Carla!Bertolini Arturo 23/07/2011 9:47
Il racconto anticipa l'immaginario, lo scatto completa il capolavoro.Andrea Mochi Six Hearts Hero 23/07/2011 9:12
bellissima foto e messaggioMulazzani Anna Maria 22/07/2011 16:21
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