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Progetto "Foto&Racconti": L'orologiaio (Berlendis-Torrisi)

Progetto "Foto&Racconti": L'orologiaio (Berlendis-Torrisi)

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Progetto "Foto&Racconti": L'orologiaio (Berlendis-Torrisi)

L’orologiaio

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http://www.francescotorrisi.com/Foto&Racconti/Berlendis_Torrisi_L_orologiaio.pdf

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Fotografia di Francesco Torrisi
Racconto di Angelo Berlendis
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Ero un costruttore di orologi, dicevano fossi un rinomato artigiano, forse il più bravo.
Il tempo era per me una profonda passione, la sua esatta misura una maniacale necessità; il suo significato, un rebus per il pensiero; il suo percorso, un enigma e una missione per lo spirito.
La mia bottega, nonché mia umile dimora, sorgeva nei pressi di un quieto paesucolo cinto da boschi e colline. Costruivo orologi da tavolo, da parete, orologi a pendolo e da polso. Il mio materiale preferito era il legno, per raffinare la manifattura ero solito rifinire le mie creazioni con leghe, metalli preziosi e pietre dure. Ero convinto che l’anima meccanica di un orologio meritasse la copertura e la protezione di una sontuosa armatura. Signori benestanti e negozianti venivano dalla città per ammirare ed acquistare le mie realizzazioni, il buon ricavo che percepivo dai miei commerci lo investivo nei miei temerari studi. Le mie erano ricerche empiriche, ma meticolose, l’oggetto del mio investigare era rivelare il trascorrere del tempo sul volto delle persone. Io volevo toccare la presenza del tempo, volevo sorprenderlo; coglierne l’essenza mentre era intento a svolgere il suo eterno lavoro, comprenderlo nell’istante in cui si applicava al volto di un uomo per affermare la sua ineluttabilità perpetua.
Avevo regalato a tutti i miei compaesani un orologio. Ogni settimana, alla stessa ora, allo stesso minuto, dovevano presentarsi a gruppi ordinati presso il laboratorio della mia bottega. Pagavo la loro puntualità, il loro impegno e la mia stravagante causa.
Con l’aiuto di un amico avevo costruito e messo a punto un piccolo studio fotografico e una camera oscura. Le persone che pagavo, i soggetti del mio studio, dovevano semplicemente prestarsi con costanza e naturalezza alle mie fotografie.
Eseguivo accurati ritratti dei visi e una volta stampate le centinaia di foto, le ponevo in ordine cronologico, in quella galleria post fisiognomica, osservavo e misuravo i lenti giochi che il tempo ingaggiava con la pelle e i tratti somatici dei miei soggetti. Rughe, fessure, erosioni, increspature, grinze, pieghe, seracchi…il tempo si manifestava sull’uomo mediante modifiche morfologiche dello spazio cutaneo. Dopo anni di analisi e di perfezionamento del metodo, potevo asserire con certezza che il fenomeno dell’invecchiamento, su taluni esemplari, era assai evidente e veloce, su altri era stranamente più rallentato. Non capivo quale potesse essere il fattore, la variabile ignota che influenzava il fenomeno…per un attimo venni ubriacato dall’idea che ci fosse un parametro misterioso in grado di alterare la velocità mediante la quale si esprimeva il tempo, poi, la confusa sensazione andò via, rimasi annebbiato, fluttuante nei postumi di una sbronza cerebrale, con la frustrante sensazione di aver avuto soltanto un accenno di intuizione.

Un giorno ricevetti una lettera da un importante cliente, era un prestigioso negoziante che rivendeva orologi in vari negozi siti nella capitale del nostro stato. Nella missiva il cliente lamentava che i lussuosi orologi acquistati nella mia bottega si erano improvvisamente fermati. Chiedeva la mia supervisione, un mio intervento, pretendeva che io risolvessi questo problema a suo avviso legato alla meccanica difettosa. La capitale era una metropoli che sorgeva a centinaia di chilometri dal mio caro e quieto paese, per un po’ di tempo avrei dovuto lasciare la bottega, i miei lavori, i miei punti di riferimento e soprattutto i miei studi. Soffrivo questo spostamento costretto dalla circostanze, ma mi premeva capire la genesi di quel problema meccanico e soprattutto mi premeva mantenere quel cliente, strategico per le mie finanze e per i miei investimenti.
Arrivai alla stazione della capitale in compagnia del mio fido orologio da tasca e del mio bastone da viaggio. Appena toccai il suolo cittadino fui investito e scosso dal serrato dinamismo padrone. Tutto era animato da una straordinaria velocità, densi flussi di persone si muovevano rapidi e convulsi in ogni direzione, mezzi di locomozione mordevano le strade con sveltezze a me ignote. Vedevo fiumi con eccezionali portate, moti laminari e moti turbolenti, scie di luce come quando si fotografa con un tempo considerevolmente lungo un corpo luminoso in moto. Pochi passi e fui stordito da una dirompente sensazione di estraneità, avevo dimenticato l’obbiettivo della mia missione lavorativa; per trovare conforto in un gesto usuale estrassi dalla tasca il mio orologio, era fermo!
Mi avvicinavo alle persone in movimento, chiedevo che ora fosse, ma era come se non mi vedessero o non mi sentissero, nessuno si fermava, nessuno accennava a rallentare. Mi sentivo un fiacco marinaio, orfano della stella polare e nella minaccia di una burrasca imminente.
C’era un modo per comprendere, uno solo; la mia conoscenza poteva divenire appiglio, avrei cercato di recuperare il senso del tempo analizzandolo sulle facce di quella popolazione forsennata, capire poteva donarmi il potere di addomesticare la mia percezione a quella lestezza.
Mi sedetti per un inestimabile periodo di tempo in mezzo a quel serrato flusso di volti veloci. Osservavo e pensavo. Dovevo capire come funzionava il tempo in quel mondo urbano. Quelle facce, così impegnate e costrette nel loro moto, così sfuggenti alla mia percezione, parevano non invecchiare mai, pareva che il loro lesto cammino, la loro perenne frenesia rallentasse il percorso del tempo, del loro tempo…la mia immobilità mi aveva invece fatto invecchiare, rapidamente, lo percepivo dalla severa stanchezza che mi avvolgeva il corpo, la mente e l’intuito. Mi sentivo il volto più bianco e più rugoso del solito. Era strano, mi pareva d’essere stato seduto per un periodo non più lungo di un paio di ore. Avevo perso il ticchettare del mio fidato orologio, le mie coordinate, le mie certezze, il senso dei miei studi andava sfumando, avevo smarrito la certezza del tempo assoluto e anzi, percepivo ovunque e mi sentivo addosso i segni della sua bizzarra ed insondabile relatività.
Compresi che la variabile che mancava alle mie analisi, agli studi condotti fino a quel momento, aveva a che fare con la solerzia ossia la velocità alla quale un individuo viveva la propria esistenza.
La velocità conservava, un’attività vitale scatenata permetteva di vivere quasi in anticipo, di ritardare l’ineluttabile vittoria della vecchiaia.
Anni dopo un celebre professore intuì in linea di massima la questione e la descrisse con l’astruso linguaggio delle equazioni matematiche: non fu nulla rispetto al mio scoprire, perché fu il Tempo stesso, in persona, a rivelarmi d’essere il suo diletto ambasciatore tra gli uomini.
Quel giorno in cui fui travolto dal disorientamento, oltrepassai la velocità bloccandomi nel mezzo del suo energico esprimersi. Compresi il senso della mia missione, il senso della mia vita; fermandomi riuscii a pensare. La decelerazione dell’esistenza era il corretto moto per permettere di pensare e di comprendere, di fatto permetteva di accettare l’invecchiamento, di capire il senso del tempo e fu in questo modo che lo conobbi intimamente.

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APN DSLR-A700
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Ouverture 14
Temps de pose 1/30
Focale 50.0 mm
ISO 200

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